Fedeltà
Chiamare quel luogo "dormitorio" denotava un senso dell'ironia che poteva infastidire. Assi di legno inchiodate sbrigativamente che dovevano fungere da letto. Materassi ingannevolmente accoglienti, tanto morbidi da sembrare perfetti per ostacolare il riposo, avvolti in luridi cenci raccattati chissà dove che interpretavano a stento il ruolo di lenzuola. Fainst si distese sull'angolo di paradiso che gli era stato assegnato senza scambiare parola con nessuno dei compagni, evitando di perdersi in pensieri per addormentarsi il prima possibile. Il Santuario non era il genere di luogo in cui si poteva aspettare un abbraccio fraterno e una parola di conforto. Il suo obiettivo di recluta era lasciarsi alle spalle l'estenuante giornata di allenamento appena conclusa e sfruttare ogni secondo di riposo per recuperare le energie. Non c'era tempo per illudersi che in un prossimo futuro le cronache avrebbero omaggiato le gesta di Fainst, il Sacro Guerriero di Athena più decisivo che il Ventesimo Secolo conobbe. Chiuse gli occhi.
Riaprì gli occhi . Ogni risveglio era invariabilmente simile al precedente, un eterno ritorno carico di svogliatezza. Perfino aprire gli occhi costituiva un faticoso sforzo fisico al quale era impossibile sottrarsi. Le ore di sonno erano sempre troppo esigue per completare un pieno recupero fisico: le giunture indolenzite ostacolavano anche i movimenti più semplici , i muscoli contratti supplicavano di non essere sollecitati nemmeno per scendere dal letto. Supplica negata. Con uno scatto inappropriato, si mise in piedi e mai avrebbe immaginato che il suo desiderio di rompere la routine mattutina si sarebbe tradotto in un'oppressione toracica che ostacolava il respiro: del dormitorio che perfino i topi consideravano dimora inadeguata e del clima triviale di cui era permeato non restava più niente. Fainst era solo, isolato in una stanzetta minimalista che non offriva niente più che un letto rifinito con modesta cura artigianale. Non riuscì ad andare oltre i pochi indizi che aveva a disposizione: c'era un solo luogo in cui era autorizzato a risvegliarsi e non era quello. Nella più ottimistica delle ipotesi, una simile infrazione era punita con l'allontanamento dal Santuario. Stavolta non era il carico di lavoro eccessivo del giorno prima a frenare le sue gambe. Tutta la debolezza che gli insegnarono a reprimere per essere un degno servo di Athena stava trovando libero sfogo. Non c'era alcuna spiegazione logica per ciò che gli era accaduto e a nessuno dei suoi superiori sarebbe interessata. Prima di studiare un piano doveva recuperare un minimo di controllo, cercare nei suoi ricordi una sensazione che gli potesse dare conforto. Scandagliò il vuoto finché un pensiero abbagliò la sua mente impaurita: le parole che gli venivano ripetute ossessivamente durante i suoi allenamenti erano tutto ciò che aveva.
"La Fedeltà è ciò che separa un soldato da un guerriero. Trovate la vostra ragione, ciò a cui scegliete di essere fedeli, e difendetela fino a quando non rimarrà più nulla di voi"
Fu meno gravoso prendere una decisione dopo che quelle parole risvegliarono in lui il coraggio, per quanto fosse più simile a rude istinto di sopravvivenza. Dopotutto, non aveva scelto lui di risvegliarsi lì. Scherzo, gioco del destino, non sua volontà. Non aveva commesso nulla di cui incolparsi, poteva solo andare avanti. La situazione in cui si trovava non era diversa da un campo di battaglia: alzare bandiera bianca significava offrire la propria testa al nemico. Non svanì l'agitazione, ma le gambe collaborarono. Si diresse verso la porta di uscita e la spinse con circospezione, scoprendo lentamente ciò che lo attendeva all'esterno. Una visione salvifica lo rincuorò come solo una certezza avrebbe potuto fare: in lontananza, era ben visibile la Meridiana dello Zodiaco, il miglior punto di riferimento che avrebbe potuto desiderare. Riuscì indicativamente ad orientarsi, intuendo che il suo dormitorio si trovava in tutt'altra zona rispetto alla casupola del suo risveglio. Decise di mettersi in movimento prima di essere scoperto dalle guardie a campeggiare in un luogo a lui precluso. Assunse l'espressione più scontrosa di cui fosse capace, nella speranza di far desistere dal rivolgergli la parola chiunque incrociasse sul suo cammino, e si diresse verso l'area di allenamento. Orientarsi non sarebbe più stato un problema.
In breve tempo giunse a destinazione e la normalità che lo accolse placò i suoi dubbi. Vide i suoi compagni allenarsi a coppie in sparring leggero e fu come sentirsi a casa. Non poteva certo sentirsi fuori pericolo, ciò che era successo quella mattina era inqualificabile. Cogliendo l'attimo, scelse di non dare spiegazioni a meno che qualcuno non le richiedesse esplicitamente. La tensione di cui era schiavo iniziava a mutare in aggressività. Sentiva la brama di contatto fisico pervadergli il corpo, aveva bisogno di combattere, sottomettere, umiliare, liberarsi di quel peso. Gli serviva solo un pretesto e lo sventurato ragazzo che gli afferrò il braccio sembrò un segnale divino.
-"Sei nuovo? Non sai che è buona educazione presentarsi?"
Fainst si voltò di scatto, evitando accuratamente di nascondere i suoi propositi di rissa. Non volle divincolarsi dalla presa, si limitò ad uno sguardo sprezzante
-"Non ti ho mai visto qui. Non sai che i novizi hanno diritto alla cerimonia di benvenuto?"
La risatina di scherno che accompagnò quelle parole servì solo ad estinguere l'ultimo barlume di ragione in Fainst. Guidato dall'impulso del momento, la conseguenza fu ovvia: un pugno sul pomo d'Adamo mise fine alla disputa. Il ragazzo franò a terra portandosi le mani alla gola. Tossiva incessantemente e le prime tracce di sangue non tardarono a fuoriuscire dalla sua bocca. Si sentiva soddisfatto Fainst, consapevole di aver ecceduto nella forza del colpo. Cercò lo sguardo dei compagni che avevano assistito alla sua prestazione. Voleva mandare un messaggio, essere sicuro che tutti avessero compreso la sua pericolosità. Ben presto si accorse che lì intorno non vi era traccia delle persone con cui si allenava abitualmente. Al loro posto, volti sconosciuti che lo fissavano con ostilità. Uscì di colpo dalla trance della lotta e realizzò di non aver mai visto prima nemmeno la vittima della sua collera. Di colpo niente di ciò che lo circondava gli apparve familiare, era lui il dettaglio fuori posto.
Un soffio di vento secco e graffiante lo riportò alla realtà. Lo sentì stridere alle sue spalle, a poca distanza dal suo orecchio sinistro. Poco dopo, uno spruzzo di sangue schizzò istericamente verso il cielo assumendo forme irregolari. All'altezza della clavicola, aveva riportato un profondo taglio a pochi centimetri dal collo. Il dolore esplose a scoppio ritardato, inducendogli un urlo soffocato a denti stretti. In un goffo tentativo di lenire uno strazio così acuto da impedirgli di tenere gli occhi aperti, tamponò la ferita con la mano destra. Non era una attacco intimidatorio per richiamarlo all'ordine, né una punizione per aver aggredito un compagno. Era una fendente omicida che aveva mancato la carotide di un soffio. Udì dei passi decisi dietro di lui che gli si avvicinano speditamente. Sapeva a chi appartenevano, non aveva bisogno di girarsi. Era consapevole della grave infrazione commessa, non gli restava che ammetterla.
"Vi chiedo perdono Nobile Shura. Ho perso il controllo e ho attaccato un compagno in un combattimento non sanzionato. Merito la vostra punizione"
Un secondo fendente, ancora più carico di aggressività, lo investì inaspettatamente. Una lacerazione sul fianco destro, appena sotto le costole. La violenza del colpo lo fece ruotare su sé stesso prima di stenderlo. Una voce profonda, carica di imperiosa autorità, si diffuse nell'aria e fermò il tempo per un istante.
-"Tu non sei un mio allievo"
Quell'uomo indossava la Sacra Armatura del Capricorno, somigliava vagamente a Shura ma non aveva niente in comune con lui, tanto meno la tecnica di attacco. Più volte Fainst aveva sperimentato sulla sua pelle il taglio di Shura e aveva sempre percepito una durezza paterna in quella lama, tipica di chi esige la perfezione dai suoi allievi. Niente a che vedere con gli attacchi carichi di indifferenza e ferocia che aveva appena subito
-"La permanenza al Santuario senza l'autorizzazione del Grande Sacerdote è un reato punito con la morte, dopo l'interrogatorio del soggetto. Sei un infiltrato di basso livello, oltremodo incapace, tanto da non conoscere il nome di chi devi braccare. Chi ti ha mandato?"
Tutto giocava a sfavore di Fainst, era utopia ragionare con un inquisitore che lo aveva già condannato. Il sangue che traboccava dalle sue ferite iniziava a causargli un leggero senso di vertigine. Nello spaesamento di quegli attimi, emergevano solo quelle parole dentro di lui.
"Trovate la vostra ragione, ciò a cui scegliete di essere fedeli, e difendetela fino a quando non rimarrà più nulla di voi"
Fainst aveva il regolare diritto di calcare il suolo del Santuario e allenarsi con la benedizione del Nobile Shura. Non stava infrangendo alcuna legge, semmai qualcun altro indossava indebitamente l'armatura del suo maestro. Era pur sempre un Cavaliere d'Oro, non era ancora così stordito da non realizzarlo. Per conquistare il suo rispetto non c'era altra via che mostrargli le sue capacità.
"Combatterò per la mia innocenza! Io sono degno della protezione del Nobile Cavaliere del Capricorno! Userò la tecnica che solo un suo allievo può padroneg..."
Altri due tagli. Invisibili, precisi, quasi artistici, separarono nuovamente i fragili tessuti di Fainst. La sua coscia destra riportava un'incisione all'altezza del flessore, il collo della caviglia era dilaniato fino all'osso. Crollò su se stesso Fainst sollevando una lieve polvere. La soglia del dolore era stata superata, andava ben oltre il limite che poteva sopportare. Fece di tutto per non piangere. Pianse. Subito strofinò le sue guance contro il terreno, sperando che quel trucco di terra e pietrisco mascherasse la sua infamia. La debilitazione per la perdita di sangue si accentuava, le ferite alla gamba lo avevano privato definitivamente della sua stabilità. Non gli restava che la genuflessione, non certo per chiedere pietà: era la posizione di attacco più stabile che gli rimaneva. Postosi a fatica sulle ginocchia, fece bruciare il suo flebile cosmo e assunse la posa d'attacco che tanto aveva sognato: le dita della mano destra protese e unite come se formassero una spada, il pollice leggermente ricurvo verso il palmo. Era titubante a pronunciare quella parola, eppure poteva essere l'ultima occasione per farlo. Comprese amaramente che sul campo di battaglia non si parla mai prima di aver colpito. Mise tutto sé stesso in quell'attacco e non ebbe bisogno di attendere l'esito per capire che non sarebbe bastato.
"EXCALIBUR!"
Franò nuovamente a terra per lo sforzo, felice di aver tentato quella tecnica almeno una volta. Subito sollevò la testa e non staccò gli occhi dalla guancia del suo bersaglio. Una goccia di sangue, una ferita, un'escoriazione, un arrossamento. Aveva indirizzato il colpo verso il viso di colui che non riconosceva come Cavaliere del Capricorno e se l'avesse profanato, avrebbe dimostrato le sue ragioni. Immacolato, puro, perfetto rimase il volto del Cavaliere d'Oro. Gli bastò una leggera emanazione di cosmo per deflettere quel colpo. Era davvero finita
-"Tu non sei un mio allievo. Hai prodotto un patetico spostamento d'aria alla portata di chiunque sappia agitare una mano. Chi segue la mia guida è consapevole che l'affilatura di una spada non dipende dalla lama, bensì dal cuore di chi la maneggia. Tanto più è affilato il suo cuore, tanto più la lama sarà perfetta. Infima è la tua lama, come infimo è il tuo cuore"
Dopo quelle parole, scoppiò una contenuta manifestazione di gioia: le reclute che seguivano gli eventi a bordo arena erano preda di una soddisfatta eccitazione. Il loro maestro stava infierendo con risoluta superiorità su un infiltrato così debole da non riuscire a difendersi. Erano consapevoli che una parola di troppo li avrebbe spediti a far compagnia al malcapitato, pertanto cercarono di contenersi
-”Che lezione gli sta dando!
-Dannata spia!
-Carogna!
-Il Grande El Cid è sempre il migliore!
-Pensava di cavarsela quel verme!
Folle!”
Un'illuminazione. Forse una follia della mente distrutta da una sofferenza insopportabile. In quella caotica sovrapposizione di parole sommesse, due risuonarono con più enfasi nella testa di Fainst. “El Cid”. Possibile che avesse davanti il leggendario cavaliere d'oro del 1700 che si distinse nella Guerra Sacra più sanguinosa di sempre? Colui che consegnò alla storia il celebre motto: "Renderò questa spada affilata tanto quanto il mio cuore lo consentirà"? Fainst fissò con insistenza il braccio destro di El Cid. Aveva studiato la Guerra Sacra settecentesca nei minimi dettagli, con adorazione verso quelle battaglie epiche di epoca passata. Conosceva la storia di El Cid e quel particolare lo gettò in confusione: il suo braccio era integro. Perdersi nel dubbio era un piacevole diversivo, il richiamo del cielo sembrava attirarlo con insistenza. Non gli rimase altro che essere fedele ai fatti. Non sapeva come e perché fosse finito in un'altra epoca, poteva solo prenderne atto. Sarebbe stato fedele al percorso che le stelle avevano scelto per lui. Senza che lo volesse, la sua mente rievocò le uniche parole in grado di donargli un illusorio conforto
"Trovate la vostra ragione, ciò a cui scegliete di essere fedeli, e difendetela fino a quando non rimarrà più nulla di voi"
Fainst desiderava combattere in nome di Athena, anche se non sapeva più in che ruolo lo avrebbe fatto. Gli restava giusto il tempo per cambiare il corso della storia e fu quello che cercò di fare. Colto dalla fretta, scelse il modo peggiore di provarci
"Posseggo delle informazioni vitali sullo svolgimento di questa Guerra Sacra... io vengo dal..."
La bocca si rifiutò di pronunciare ciò che la mente aveva pensato, nessuno gli avrebbe creduto. La fedeltà può avere infinite vie per manifestarsi e Fainst capì che la sua battaglia non andava combattuta con la spada. Si rivolse ad El Cid con nuova determinazione, sicuro di ciò che avrebbe ottenuto
-"Un condannato a morte non ha diritto all'ultimo desiderio?"
-"Parla" -Sibilò El Cid senza scomporsi-
-"Vorrei scrivere la mia confessione"
El Cid si voltò di scatto verso due dei suoi allievi e lì squadrò senza aprire bocca, facendoli sobbalzare. I due non ebbero bisogno di parole, sapevano di doversi procurare il materiale richiesto dal condannato. Se cercavano materiale da scrittura, gli allievi di Dégel avrebbero potuto fornirlo facilmente. Corsero via sapendo che il tempo era loro nemico
-"Ascoltami, El Cid"
Fainst si rifiutò di rivolgersi a lui usando un tono formale e un titolo onorifico davanti al suo nome. Non voleva disonorare il suo maestro Shura, il vero Cavaliere del Capricorno. Ora si sentiva forte, sapeva dove colpire.
"Non serve a niente avere un cuore tagliente che non sa accogliere. Finché non lo imparerai, non raggiungerai mai la sacra Excalibur. Rimarrà un sogno irrealizzato per te, irraggiungibile"
Per la prima volta El Cid si scompose, punto nel vivo. I due allievi interruppero il momento delicato portando un foglio di carta giallastra, una penna a piuma d'ora e una boccetta di inchiostro. Consegnarono il tutto a Fainst, i cui sospetti sull'epoca in cui si trovava furono rafforzati. Dolce fu la nostalgia per il suo 1900, dove tutto era più semplice. Fainst si soffermò brevemente a scrutare la sua mano tremula e pallida al punto che i capillari si distinguevano facilmente ad occhio nudo. Fece appello alle energie che gli rimanevano per scrivere ciò che riteneva importante. Trovò la posizione più adatta, distendendosi sul fianco ferito, e la distanza corretta dal foglio per evitare di inondarlo con le sue perdite di sangue. Scrisse brevi pensieri e accompagnò il tutto schematizzando i concetti. Il corpo in cui si sarebbe risvegliato Hades, la sua locazione, le trappole che avrebbe teso, i suoi attacchi al Santuario, i punti deboli degli spectre principali, le mosse di Hypnos e Thanatos. Un rapido paragrafo a parte fu dedicato all'impresa di El Cid. Fainst terminò il suo lavoro e lo consegnò a fatica.
-"Voglio che venga consegnato al Grande Sacerdote, saprà cosa farne. Verificherete a tempo debito se sono un impostore. Se sceglierete di fidarvi, il futuro potrebbe essere diverso. Questo è il mio desiderio"
El Cid prese in mano il foglio e lo arrotolò con indifferenza, fissandolo con un nastrino. Era più che mai deciso ad ignorare le deliranti parole che aveva appena udito. Sollevò il braccio emettendo un sibilo simile a quello di una spada. Fainst sorrise, la sua guerra era vinta. El Cid sentì una goccia di sudore che scese dalla sua tempia e percorse la sua guancia. Si accorse di non essere più così risoluto, qualcosa lo aveva turbato. Lui non conosceva quel ragazzo, ma quel ragazzo aveva dimostrato di conoscere lui, nel profondo.
-"Se fossi in torto? No, ho fatto il mio dovere. Non è un mio allievo, non si è mai allenato con me, nessuno mi ha informato del suo arrivo, ha aggredito una recluta. Non ha l'autorizzazione per stare al Santuario, devo essere fedele alla legge"
Qualcosa di simile dubbio lo colse. Sapeva di doverlo uccidere, ma la sua mano esitava. Gli concesse infine il gesto più magnanimo di cui fosse capace, che solo ai suoi occhi si poteva tradurre in pietà: gli risparmiò il colpo di grazia, le ferite che gli aveva inferto per giusta causa sarebbero state sufficienti. Si tolse il mantello con un gesto elegante e lo dispose a terra, impartendo gli ultimi ordini ai suoi due allievi che erano rimasti immobili ad osservare i fatti.
"Portatelo via di qui, sorvegliatelo e tornate a fare rapporto a decesso avvenuto. Io ho l'obbligo di rispettare le sue volontà, consegnerò lo scritto al Grande Sacerdote"
Fainst venne sollevato per i polsi e le caviglie dai due ragazzi. Finché poté, non staccò gli occhi dal braccio destro di El Cid, consapevole di ciò che sarebbe accaduto in futuro. Una volta che fu collocato sopra il mantello, i suoi custodi afferrarono i quattro angoli di stoffa del mantello, due ciascuno, e lo portarono via. Fainst sorrise mentre i suoi occhi si chiudevano. "Sono riuscito ad essere fedele, nonostante tutto". Il senso di leggerezza mista ad incoscienza gli impediva di dare un senso alle parole dei due ragazzi che lo trasportavano lontano dall'arena.
-"Quanto ci metterà secondo te?"
-"10 minuti scarsi"
-"Io dico più di mezz'ora"
-"Se hai ragione, ti offro da bere"